[SUONO] [MUSICA] [MUSICA] [MUSICA] Il quinto secolo a.C. è il momento di massima fioritura di Mozia. Gli scavi hanno portato alla luce molti monumenti e come abbiamo visto c'è un ritrovamento particolare che ci servirà da spunto per affrontare forse la più importante, la più famosa scoperta fatta su questa piccola isola del Mediterraneo centrale. Il ritrovamento è stato fatto nel 2012 nel tempio delle acque sacre, nell'area del kothon. Qui in un angolo della cella è stato ritrovato un cratere a figure rosse, ossia un vaso monumentale greco, di dimensioni inusuali, più grande del normale, espressamente acquistato in Attica e realizzato proprio per Mozia, nel quale c'è un'iscrizione particolare, un'iscrizione sovradipinta che menziona un personaggio: Alcimedonte. Vedete, l'iscrizione è quasi svanita, era stata apposta con una vernice rossa e i millenni che ci separano da questo reperto l'hanno fatta riconoscere solo controluce. Chi era Alcimedonte? Alcimedonte è semplicemente un nome greco, e questo mostra che nella società di Mozia la grecità ormai aveva preso il sopravvento, era di moda, i moziesi, pur essendo di origini fenicie, di cultura ormai punica, quindi cartaginese, volevano lo stesso essere fortemente integrati nella koinè greca della Sicilia del quinto secolo. E per questa ragione conoscevano l'epica greca, questo nome ci porta addirittura sotto le mura di Troia, questa chiaramente è una sort of di esagerazione, però ci aiuta a entrare in un nuovo discorso, un discorso molto importante: chi era Alcimedonte? Alcimedonte è il cocchiere di Achille, è l'auriga del carro di Achille, in realtà Achille guidava spesso da solo il proprio carro, ma c'è un punto dell'Iliade fondamentale, un punto centrale di tutta la narrazione, il momento in cui Patroclo, indossate le armi di Achille, viene ucciso da Ettore, e bisogna recuperare queste armi; è un punto talmente drammatico che nel racconto commovente di Omero addirittura i cavalli piangono, i cavalli e gli eroi sono gli unici soggetti dell'Iliade che piangeranno. Perché questi cavalli piangono? Piangono perché bisogna andare a recuperare queste armi e questo corpo, e quindi perché si celebra a Mozia un auriga? Perché a Mozia un auriga c'è, lo vedete, è questa statua straordinaria che è stata trovata nell'altro grande tempio di Mozia, il tempio del Cappiddazzu. Chi è questo personaggio? Ecco, è una domanda che ormai dal lontano 1979, quando la statua è stata ritrovata, purtroppo priva dei piedi, priva del suo basamento, perché non era nella sua originale giacitura, ha veramente interrogato gli storici dell'arte, gli archeologi e moltissimi studiosi si sono cimentati su quest'opera. Io, più che fare una descrizione storico-artistica, vorrei parlare di quello che la circonda, cioè di come l'oggetto, in questo caso il manufatto, l'opera d'arte, debba essere inserita nel suo contesto, per poterla capire meglio. E qual è il contesto di questa straordinaria statua? Il contesto di provenienza in realtà è il secondo grande tempio di Mozia, il tempio del Cappiddazzu, un tempio che è il tempio reale, collegato probabilmente al palazzo del re, qui vedete il momento della scoperta e il luogo, un ammasso di detriti, dove quest'opera è stata trovata. Perché si trovava in un ammasso di detriti? Perché il tempio era stato distrutto e molti secoli dopo i monaci basiliani che avevano costruito una chiesa paleocristiana e poi bizantina sopra a questo tempio, lo stavano per trasformare in calce. Quindi lo avevano ammucchiato insieme ad altre cose, grandi blocchi tolti dal tempio per praticamente bruciarlo in una fornace. Per fortuna questa operazione è stata interrotta e a noi è arrivata questa statua. La statua però, molto probabilmente, era eretta davanti al tempio, come si usava, e qui vedete delle immagini che mostrano lo sviluppo di questo luogo di culto. E qui vedete il tempio nella sua configurazione corrispondente al quinto secolo, quindi un tempio a tre navate, con dentro un pozzo sacro, però quello che ci interessa ora è ritornare alla nostra statua. Noi sappiamo da alcuni ritrovamenti che il tempio era dedicato a Melqart, Melqart era proprio la divinità collegata al potere regale. Che cosa è accaduto a Mozia? Come abbiamo visto, Mozia era nata come una città governata da un gruppo di mercanti e probabilmente di sacerdoti. Ecco, questa organizzazione sociale si è modificata moltissimo, proprio ad imitazione delle altre città della Sicilia nel quinto secolo Mozia è governata da un re, da un sovrano che tende ad essere sempre più tirannico, come i tiranni della Sicilia. Ed una delle caratteristiche di questi sovrani e di questi tiranni era avere un auriga, cioè mostrare la propria ricchezza attraverso la celebrazione di questa sort of di sport, che erano le corse delle bighe, che in realtà era collegato quasi epicamente a questa sort of di antenati epici, come appunto Alcimedonte, o come era lo stesso Melqart, ossia Eracle, un eroe fondatore delle varie città della penisola italiana e della Sicilia, che diventa dio, questo è un punto che interessa molto anche i Fenici, cioè nella mitologia greca questo aspetto delle vicende di Eracle attira i Fenici, perché lo identificano con Melqart, il re che diventa dio. E come avviene questa divinizzazione del re, che quindi è funzionale all'ideologia di chi governa la città in questo caso? Avviene entrando nell'Olimpo su un carro come un auriga vincitore, perché Eracle come sapete, aveva vinto le proprie fatiche, quindi aveva compiuto delle imprese e nel sincretismo con la religione fenicia Melqart allo stesso modo diventa una sort of di auriga, vincitore che entra nell'Olimpo e probabilmente proprio questa immagine è stata rappresentata da un artista greco, su richiesta del re fenicio di Mozia per mostrare agli stessi Greci della Sicilia che erano allo stesso livello culturale ed economico soprattutto, quindi per inserirsi definitivamente in questo contesto. Il finale sarà poi tragico, perché proprio per questa scelta della cultura greca Cartagine abbandonerà Mozia al suo destino, quando il tiranno di Siracusa Dionigi arriverà per conquistare la città, la lascerà sola, e Dionigi la potrà distruggere e nella distruzione sicuramente fu anche danneggiato questo simbolo del finale sincretismo e unione tra la cultura greca e quella orientale, che era proprio rappresentata da questa straordinaria statua. [VUOTO] La statua nota col nome di giovane di Mozia è uno dei capolavori dell'antichità classica, ed è anche uno dei pochissimi originali greci, quindi direttamente nelle nostre mani qualcosa che è stato scolpito da un artista che era stato chiamato dal re di Mozia per rendere questa città ancora più ricca, al pari delle grandi capitali del quinto secolo della Sicilia, città come Agrigento, Akragas, Messina, Siracusa, città che avevano degli splendori enormi. Ebbene Mozia, sebbene fosse in origine una città fenicia, poi diventata punica, voleva competere con questi grandissimi centri culturali, e l'unico modo era avvalersi degli stessi artisti. La genialità però della committenza del re di Mozia fu di rappresentare nelle vesti greche un'idea fenicia, e l'idea era quella dell'eroe fondatore Eracle, trasformato in auriga, perché Eracle era allo stesso tempo il dio fenicio Melqart che vuol dire re della città. Probabilmente la statua era eretta nel portico anteriore del tempio, il tempio che era collegato al palazzo del re, e Melqart, o Eracle, era rappresentato nell'atto dell'auriga vittorioso, vedete, ha il braccio sul fianco, nell'altra mano probabilmente teneva la corona d'alloro o salutava, ed entrava nel carro dove? Idealmente nell'Olimpo, perché l'eroe, dopo avere compiuto e vinto tutte le dodici fatiche, era stato finalmente ammesso a diventare un dio. Quindi si mischiano in questa statua elementi straordinari, da un lato la figura dell'auriga che era come il personaggio più famoso della Sicilia del quinto secolo a.C., allo stesso tempo però una divinità che è un eroe, quindi un eroe, vicino alla figura del re, ma diventa un dio, ed è il dio principale dei Fenici di Tiro, e qui si apre un tema molto interessante, cioè il fatto che i due poli di Mozia rimangano uno a Sidone, uno a Tiro, forse i fondatori all'inizio venivano da tutte e due le città. Questo non lo possiamo ancora sapere. Comunque chiaramente questa straordinaria opera che ci affascina e ci abbacina con la sua luce, ci può comunicare anche tante informazioni storiche, a partire dal luogo dove è stata ritrovata. Il giovane di Mozia, o Melqart se volete in questa veste ibrida, greca e fenicia, non è soltanto uno dei più straordinari originali greci che siano stati trasmessi dall'antichità a noi ma è anche uno straordinario esempio delle qualità artistiche di un maestro scultore che è entrato di diritto tra i più grandi dell'antichità classica. L'opera è stata datata nel primo venticinquennio del V secolo, su basi ovviamente storico-artistiche, perché manchiamo della base, di qualche iscrizione, di qualche altro dato di contesto, come sapete è stata ritrovata in una giacitura secondaria. E tra l'altro se osservate il volto, l'opera ha subito in un certo modo una damnatio, è stata deliberatamente colpita. Questo significa effettivamente che è probabile che fosse una divinità e che per chi ha conquistato Mozia, per i Greci fosse una divinità diventata nemica, sebbene il linguaggio di quest'arte fosse effettivamente greco. Quindi questa interpretazione che vedete qui in una sorte di forse eccessiva trasformazione, non penso che fosse in realtà questa l'iconografia, era rappresentato Eracle come un'auriga, perché Eracle entrava come un'auriga, introdotto da Minerva, nell'Olimpo, nel momento della deificazione, un momento veramente molto importante dal punto di vista ideologico, soprattutto per il re di Mozia che era stato il committente di quest'opera. Resta comunque un monumento straordinario, un monumento unico nella sua qualità, vedete anche la veste plissettata sul retro del corpo, le forme plastiche, la posizione che assume questa figura, anche se ovviamente il braccio destro è completamente mancante, c'è chi pensa che potesse sostenere un alloro, o una corona d'alloro, o qualcosa. Certamente la qualità estetica è straordinaria e ci fa venire in mente, per concludere questo ragionamento, proprio l'epiteto che Omero aveva attribuito ad Alcimedonte, che è un epiteto molto semplice, amymon, senza confronti, senza paragoni, senza imitazioni, quindi perfetto, e nulla si può dire di altro di quest'opera che sembra proprio esteticamente perfetta. [MUSICA] [MUSICA] [MUSICA] Abbiamo attraversato insieme il Mediterraneo, abbiamo scavato con la piccozzina alla ricerca di qualche traccia dell'antica storia che ha consentito il formarsi della civiltà al centro del nostro mare. Ecco, in tutto questo percorso siamo partiti da Mozia, siamo partiti da un'isola piccola, piccola che si trova proprio al centro del racconto che abbiamo fatto; è stato bello ripercorrere questa lunga storia, è stato bello rivivere la grande emozione di fondare qualcosa di nuovo dall'altra parte del mare, è stato bello capire tutte le difficoltà che ci sono state in questo processo e quante contraddizioni ci sono negli scambi tra i vari popoli che hanno convissuto per tanti secoli. Insomma, forse abbiamo solo accennato a tanti problemi, e se volete approfondire di più dovremo fare tanti altri incontri tra noi, per parlare ancora e per cercare ancora, perché per conoscere bisogna cercare, e per cercare bisogna scavare, quindi speriamo di continuare e che l'archeologia ci porti sempre a conoscere meglio le nostre antiche radici. Grazie quindi a tutti voi per averci seguito, per avere dialogato con noi, per esservi interessati sempre di più al nostro corso. Continuiamo a stare insieme, e seguiteci anche in tutti gli altri social media, la missione archeologica a Mozia della Sapienza. Ringrazio anche tutte le persone che stanno alle mie spalle e che mi hanno aiutato in questa produzione da Claudio Napoleoni, Riccardo Trotti, che è il regista cineasta, Sharon Sabbatini, Federica Micale e ovviamente Rino Ragno. [SUONO] [VUOTO]